La pagina nera di Porzus
- magnarini
- 1 mar 2018
- Tempo di lettura: 3 min
Porzus è un piccolo centro montano in provincia di Udine, dove si consumò una pagina nera della Resistenza: partigiani "rossi" uccisero altri partigiani "non allineati". Riporto di seguito il racconto dell'episodio, tratto da "La nostra guerra: 1940-45" di Arrigo Petacco, un libro che vi consiglio vivamente.

A Porzus, piccolo centro montano in provincia di Udine, è stata scritta la pagina più nera della storia della Resistenza. Qui, in una malga sperduta fra i boschi, allora sede del comando della brigata partigiana Osoppo, comunisti italiani agli ordini di Tito massacrarono 17 partigiani colpevoli di preferire il tricolore alla bandiera rossa.
È una storia terribile che non trova giustificazioni neanche nelle passioni scatenate dal momento. Una storia che ha lasciato un'impronta indelebile che qualcuno ha tentato inutilmente di cancellare.
Nell'autunno del 1944, la brigata Osoppo operava in Carnia ed era comandata da Francesco De Gregori, nome di battaglia Bolla, un ufficiale degli alpini romano, salito ai monti subito dopo 1'8 settembre. Attaccata da forze numericamente superiori (circa 40.000 uomini fra tedeschi, fascisti, ustascia croati, cosacchi e francesi di Vichy), la formazione era stata costretta, dopo aspri combattimenti e perdite gravissime, a rifugiarsi nei pressi di Porzus. Era venuta così a trovarsi in un territorio ai confini col mondo slavo, che già rientrava nelle mire espansionistiche del maresciallo Tito. Il suo arrivo non era stato visto di buon occhio da una brigata garibaldina che operava in quella zona in stretto contatto con gli jugoslavi. Si trattava della brigata Natisone, guidata e composta da comunisti che, in nome dell'ideologia, erano disposti ad assecondare le ambizioni titine. Inutile quindi dire che i rapporti fra i due gruppi si rivelarono subito difficili. A quelli della Natisone, agghindati con fazzoletti e stelle rosse sui berretti, non erano affatto graditi i simboli esibiti dagli uomini della Osoppo: fazzoletti verdi delle formazioni cattoliche e il tricolore.

Ma il dramma era ancora lontano. I primi incidenti si verificarono quando, all'inizio di novembre, al comando della Natisone giunse una lettera di Togliatti in cui si ordinava l'integrazione dei partigiani italiani nell'esercito titino, ossia il passaggio sotto la direzione del 9° corpo sloveno. Per ufficializzare tale incredibile decisione, il comitato centrale del PCI aveva persino provveduto a inviare un ordine del giorno prefabbricato che i partigiani avrebbero dovuto approvare... all'unanimità! Il testo diceva, fra l'altro: «I partigiani italiani riuniti il 7 novembre in occasione del ventisettesimo anniversario della Grande Rivoluzione Russa, accettano entusiasticamente di dipendere operativamente dal 9° Corpo sloveno in quanto sanno che ciò potrà rafforzare la lotta contro i nazifascisti, accelerare la liberazione del paese e instaurare anche in Italia, come già in Jugoslavia, il potere del popolo.»
Se gli uomini della Natisone accolsero «entusiasticamente» l'ordine del PCI, quelli della Osoppo lo respinsero sdegnati. Questo comportamento patriottico sarà la causa della strage.
Il comando comunista preparò con cura l'eliminazione dei «ribelli». Ancora non sappiamo chi emanò l'ordine. La sua esecuzione fu comunque affidata a Mario Toffanin, detto «Giacca», un comunista padovano che operava con i titini da prima dell'8 settembre. Il 2 febbraio 1945, alcune sentinelle della Osoppo videro giungere dal monte Carnizza un centinaio di partigiani che dissero di essere sfuggiti a un rastrellamento ed espressero il desiderio di arruolarsi nella brigata. Non appena si fece avanti il comandante Bolla, seguito da un ufficiale di nome Valente, la trappola scattò. Catturati con facilità, i due ufficiali furono immediatamente uccisi dagli uomini di Toffanin. Non contenti, gli assassini si accanirono anche contro i cadaveri sputacchiandoli e sfigurandoli a colpi di pugnale. La caccia ai “ribelli” della Osoppo durò 5 giorni. In tutto, furono trucidati 17 partigiani. Fra questi figurava anche il ventenne Guido, fratello di Pier Paolo Pasolini. Gli altri si salvarono rifugiandosi nei boschi.

Questa pagina nerissima, che ha infangato la storia della nostra Resistenza, spaccò il fronte antifascista e segnò l'inizio della guerra fredda in Italia. In seguito, gli autori della strage furono processati a Lucca. Fra i 37 imputati (condannati complessivamente a 800 anni di carcere, ma liberati poco dopo grazie all'amnistia di Togliatti) non figurava però il Toffanin. Aiutato dall'organizzazione del partito, il principale autore del massacro sfuggì infatti all'ergastolo riparando prima in Jugoslavia poi, dopo la rottura di Tito con Stalin, a Brno, in Cecoslovacchia, dove avevano trovato rifugio i comunisti italiani ricercati per i delitti consumati durante e dopo la guerra civile. Da Brno, Toffanin tornò in Jugoslavia negli anni Sessanta. Graziato da Pertini nel 1978, si trasferì a Capodistria dove forse vive tuttora. All'eroico comandante della Osoppo, Francesco De Gregori, fu invece conferita la medaglia d'oro al valor militare. Ma la storia non era ancora finita.
Nel dopoguerra i superstiti della Osoppo, costretti a vivere ai bordi di un pericoloso confine, decisero di non restituire le armi e diedero vita al primo nucleo clandestino di difesa anticomunista. Questo nucleo, comandato dal colonnello Luigi Olivieri, si chiamò Organizzazione O. Mantenne questa denominazione fino al 1956 quando si sciolse autonomamente per lasciare il posto a una nuova organizzazione il cui nome è poi tornato di attualità: Gladio.
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