La guerra di mio padre
- magnarini
- 14 gen 2018
- Tempo di lettura: 4 min
La Seconda Guerra Mondiale sembra lontana secoli per tutte le cose che sono accadute da allora. Questo mondo è cambiato decine di volte in questi ultimi 70 anni. In realtà quasi tutti noi abbiamo parenti che in qualche modo hanno vissuto quei terribili anni e hanno avuto occasione di raccontarli. Milioni di storie, milioni di percezioni diverse dello stesso evento.

Nelle righe successive racconto la guerra dal punto di vista di mio padre Duilio Magnarini (ultimo a destra nella foto a lato), un soldato che l'ha vissuta in prima linea. Attingo a piene mani dal suo diario e dalle numerose foto che mi ha lasciato. Devo fare così perchè non l'ho mai sentita raccontare dalla sua voce: un tumore lo ha portato via quando avevo 9 anni, quasi 40 anni fa. E' solo una delle tante storie possibili di quegli anni così lontani e così vicini.
Duilio Magnarini nacque a Popoli (provincia de L'Aquila) nel 1916. Secondogenito di 5 figli, solo i 3 maschi sopravvissero al primo anno di vita, in quegli anni dove la mortalità infantile era tutt'altro che trascurabile. Nella foto sotto, Duilio è il primo a sinistra, in una foto di rito dell'Italia fascista. Riguardo la morte dei fratellini, nel suo diario scrive:

"Mio padre Nazzareno lavorava fuori dal paese e stava via anche molti giorni di seguito: lavorava per la società elettrica e portava l'elettricità ai tanti paesi che ne erano ancora sprovvisti. Rientrò a casa tre giorni dopo la morte dei piccoli. Ricordo le lacrime che gli rigavano il viso. Fu la prima e unica volta che vidi mio padre piangere."
E' solo la prima tragedia. Nel 1923 Nazzareno muore in un incidente sul lavoro: qualcuno ridà corrente mentre lui è ancora al lavoro sul traliccio dell'alta tensione.
Duilio ha solo 7 anni, e appena raggiunge l'età minima per l'arruolamento, nel 1933, a 17 anni, fa domanda per la Regia Marina. Diventa radiotelegrafista, vincendo anche un concorso a livello nazionale, e l'anno successivo comincia il servizio attivo sugli incrociatori della Regia Marina.
"Ero diventato improvvisamente adulto, insieme ai nuovi amici, anch'essi con qualche dramma dietro le loro spalle".

Nel 1935 scoppia la guerra di Spagna, e la sua nave è destinata come nave di appoggio a sostegno dei franchisti. Sono mesi di relativa tranquillità: dal suo diario traspare più che altro impazienza di scendere a terra per socializzare (diciamo così) con le "señoritas" del posto...
Nel 1940 l'Italia entra in guerra, quella vera stavolta, e Duilio è destinato a Lero, un'isola greca del Dodecaneso.
L'8 settembre del 1943 viene annunciato per radio l'armistizio: in Italia e in Europa ci sono 600mila militari che vengono lasciati senza ordini e disposizioni; come era prevedibile, l'esercito si sbanda. La Marina storicamente è sempre stato il corpo militare più fedele alla Monarchia, perciò a Lero (come a Cefalonia) non si assiste a diserzioni, ma si decide di resistere ai tedeschi.
"L'ammiraglio Mascherpa aveva ordinato di aprire il fuoco su qualunque aereo tedesco avesse sorvolato la rada".

A Cefalonia sta succedendo la stessa cosa, ma l'epilogo è drammatico:
"Intanto ci giungevano notizie delle efferatezze compiute dai tedeschi a Cefalonia. Con l'inizio della battaglia l'incubo della catastrofe che gravava su tutti noi ci affratellò nel vero senso della parola".
Gli stukas tedeschi bombardano pesantemente l'isola, ogni giorno, per due mesi: "...crolli, devastazioni, scempi di corpi da tutte le parti..."
A novembre (siamo sempre nel 1943) Lero cade. Duilio e i suoi compagni sono certi di morire, ricordandosi i fatti di Cefalonia: "...aspettiamo la fucilazione."

Gli ufficiali vengono trucidati, ma fortunatamente non si ripete il massacro di Cefalonia.
Qui a fianco: una pagina del diario che parla della difesa di Lero.
Per mio padre inizia la deportazione verso i campi di prigionia: prima in Serbia, poi in Slovenia.
Non sono lager, le condizioni si possono definire umane, ma la fame non abbandona mai i prigionieri. Impossibile da comprendere per noi cosa voglia dire passare un anno e mezzo di prigionia con un perenne senso di fame (oltre, ovviamente, la mancanza di libertà e l'incognita sul futuro, dato che le fucilazioni sommarie erano sempre dietro l'angolo).
Durante questa prigionia c'è spazio (non so come) per una relazione: una bellissima ragazza slovena; la foto che mio padre ha conservato gelosamente ci mostra una donna sorridente, piena di voglia di vivere.
Qui sotto: una pagina dell'elenco dei prigionieri del lager.

Il 31 gennaio 1945 arriva l'Armata Rossa. Duilio scrive sul suo diario: "Oggi è arrivata l'Armata Rossa. Liberi? Oppure ancora prigionieri?".
Infatti gli Alleati, man mano che avanzavano e trovavano campi di prigionia, tenevano gli uomini dentro tali campi. In un'Europa devastata dalla guerra le strade e i mezzi di trasporto erano riservati all'avanzata delle truppe, e non ci si poteva permettere di organizzare anche il rimpatrio dei prigionieri.
Solo ad agosto, a 4 mesi dalla fine della guerra in Europa, mio padre rientra a casa. Nel lasciare i suoi compagni, i sentimenti sono ambivalenti: dolore per l'addio a quelli che, nella follìa della guerra, sono diventati fratelli, e la gioia per il ritorno a casa.
Questo sentimento è comune, da sempre nella storia dell'uomo, a tutti i soldati di tutte le epoche che tornano a casa. Catullo, 2000 anni fa, provò la stessa cosa:
Già primavera i dolci tepori rimena;
già le tempeste del cielo equinoziale si placano al rasserenante spirare di zefiro.
Lascia, o Catullo, i campi di Frigia e la ferace pianura dell’assolata Nicea;
voliamo verso le città famose dell’Asia Minore.
La trepida mente già si strugge di andare;
già, presi dal piacere, lieti i passi fremono di gioia.
Addio, dolci brigate di compagni;
insieme partiti dalla patria lontana,
strade divergenti ci riportano con vari mezzi a casa.
(Catullo, Carme XLVI)
Mio padre, molto meno poeticamente, ma con la stessa emozione, saluta un suo compagno, con la lettera che pubblico qui sotto.

Poi gli furono conferite due croci di guerra.
Spero di non avervi annoiato con la storia di una persona che non avete mai conosciuto. Ma questo blog si chiama "Storia viva", e non c'è niente di più vivo che ascoltare i fatti storici dalle parole di chi li ha vissuti.
Se qualcuno nei commenti vuole postare storie di guerra di parenti o conoscenti, sarò felice di leggerle.
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