La grande strategia dell'Impero romano
- magnarini
- 16 gen 2018
- Tempo di lettura: 7 min
Cosa ha permesso a un popolo di pastori e contadini di diventare padroni del mondo conosciuto? Ho sempre trovato estremamente affascinante la grande avventura di Roma.
Nelle pagine seguenti riassumo i contenuti del libro "La grande strategia dell'Impero romano" di Edward N. Luttwak. E' un libro molto tecnico, ma illuminante sull'evoluzione (e successiva involuzione) dell'Impero romano. Ho evitato il più possibile i tecnicismi, perciò spero sia di facile lettura.

L'esercito come forza di dissuasione
Analizziamo il periodo dal I al III secolo d.C.
Si distinguono tre periodi, corrispondenti a diverse esigenze.
Inizialmente i Romani della repubblica fecero grandi conquiste per servire l’interesse dei pochi che detenevano il potere. Successivamente l'Impero garantì la prosperità di tutti, non solo di alcuni privilegiati: anche uomini nati in regioni lontane da Roma potevano definirsi Romani.
Ma nell'ultimo periodo la difesa della sicurezza divenne un compito sempre più gravoso per la società, e la macchina dell’Impero tendeva sempre più a servire solo a se stessa.
1. Il sistema giulio-claudio (I sec. d.C.)
In questo periodo stupisce l’esiguità dell’esercito che controllava questo vasto territorio: durante il regno di Tiberio (14-37 d.C.) solo 25 legioni. La legione di questo periodo era formata da circa 6000 uomini (5300 fanti e 120 cavalieri). Oltre alle legioni di fanteria pesante, erano presenti gli auxilia (truppe ausiliarie), in numero paragonabile a quello dei soldati delle legioni.

Parliamo quindi di circa 300mila soldati in tutto il territorio. Le forze legionarie erano disposte in modo da formare una sottile linea di confine ai margini dell’Impero, che però obbediva all’esigenza di sicurezza interna più che esterna, dato che in quel periodo i maggiori pericoli provenivano dall’interno dell’Impero.

Le colonie, affidate ai veterani in congedo, erano un efficace strumento di controllo strategico. Le colonie fornivano basi sicure di osservazione e controllo, e non esistevano guarnigioni e pattuglie lungo gli oltre 6400 km dei confini terrestri. In realtà non esisteva un limes (confine) nel suo significato di confine fortificato.
Gli Stati clienti si assumevano l’onere di garantire ai confini la sicurezza contro infiltrazioni e altri pericoli di “bassa intensità”.
Siamo di fronte a un impero di tipo egemonico. In un sistema del genere la diplomazia diventa un’arma fondamentale.

Organizzazione dell’esercito
A partire dalle guerre sannitiche (IV secolo a.C.) si sviluppa l’unità manipolare: la formazione chiusa infatti si rivelò poco adatta ad operare tra i monti del Sannio, così tale formazione fu snellita. Il manipolo dipende dalle qualità combattive del singolo soldato.

Esistevano tre classi di fanteria pesante: hastati, princeps e triarii.
Gli uomini più giovani sono assegnati ai velites (immagine qui a lato): 1200 fanti armati alla leggera, muniti di spade, piccoli scudi (parmae) e dell’hasta velitaris, un giavellotto corto e leggero. I velites sono largamente impiegati come esploratori, avanguardie e foraggiatori. In battaglia hanno la funzione di fare da schermo alle proprie truppe di linea, aprendo le ostilità con il lancio dei loro dardi, per poi ritirarsi entro le file, evitando così il contatto con la fanteria pesante nemica, che riuscirebbe loro fatale.
Quelli che seguono per età e censo formano gli hastati. Gli uomini del pieno vigore delle forze formano i princeps. I più maturi costituiscono i triarii.
Hastati e princeps: 1200 uomini per ogni manipolo, armati con scutum, gladium e pilum, un pesante giavellotto da 2,74 m, arma da lancio.
Il gladio è l'arma principale: al lancio dei giavellotti e al successivo contatto con il nemico segue una serie di lunghi e durissimi corpo a corpo, condotti interamente di spada.
Triarii: 600 uomini armati con l’hasta, la lunga picca da urto.
Riassumendo:
Articolata su tre linee successive (hastati, princeps e triarii) la fanteria pesante legionaria è divisa in trenta manipoli, dieci per ogni scaglione (vedere figura seguente). Questi reparti sono disposti a scacchiera. La lotta corpo a corpo è riservata ai primi scaglioni soltanto; ove il loro attacco fallisca, entrano infatti in gioco i triarii, cui è affidata l’ultima parte dello scontro, la più delicata, e ad essi si ricorre solo in caso di grave difficoltà. Essi lasciano filtrare i superstiti delle prime linee perché possano riorganizzarsi, quindi rinserrano le file per sbarrare la strada al nemico.

L’armata consolare si compone di due legioni, fiancheggiate da altrettanti alae alleate, grandi unità di pari consistenza numerica, con una cavalleria preponderante.
Ogni console dispone quindi di almeno 16800 fanti e 1500 cavalieri.
Vantaggi del manipolo:
- Possibilità di azioni autonome dei singoli gruppi, cogliendo così le opportunità che si presentano di volta in volta
- Grande agilità e possibilità di manovra
- Possibilità di ritirarsi in buon ordine di fronte a una falange
La centuria (vedere figura seguente)
La centuria era la sub unità della legione. Ogni manipolo aveva due centurie (prior e posterior) che erano composte da 60 legionari (hastati, princeps) o 30 legionari (triarii).

Ogni legione poteva poi contare su un piccolo distaccamento di cavalleria di circa 300 uomini, diviso in 10 sottounità chiamate turmae.
La coorte
Probabilmente fu Scipione a introdurre la coorte: unità intermedia tra manipolo e legione, era composta riunendo tre manipoli. Nella coorte gli uomini della prima fila tornano ad essere dotati di armi lunghe, e ciascun soldato può nuovamente contare sulla protezione e sul sostegno dei compagni di linea. Torna un’ispirazione di tipo falangitico.
Gaio Mario aprì le liste di leva ai proletarii, rendendo in pratica volontario l’arruolamento, e trasformando il servizio militare in una professione. D’ora in poi i soldati saranno più fedeli a quei capi da cui dipende il loro benessere, piuttosto che al senso di patria.

Cesare formò una catena di comando che per la prima volta valorizzò i quadri intermedi dell’esercito. I veri protagonisti diventano i centurioni, e non i legati: quindi uomini tratti dai ranghi e non aristocratici dilettanti.
Punto di forza erano gli specialisti: progettisti di canali, strade, accampamenti, ed esperti in assedi. Questi erano muniti di dolabra, un piccone multiuso.
L’artiglieria era formata da ballistae per il lancio di pietre, e catapulte per scagliare frecce e proiettili.
Truppe ausiliarie
Gli auxilia erano forze complementari alla legione:
- Cavalleria
- Arcieri cretesi
- Frombolieri balearici
- Fanti numidi (lancieri?)

Arcieri e frombolieri (immagine a lato)coprivano e appoggiavano la fanteria in avanzamento o in ritirata. Fornivano inoltre fuoco di copertura, durante gli assedi, per permettere l’avanzamento degli arieti e delle macchine da urto.
Conclusioni
Durante la Repubblica ci furono piccoli ingrandimenti territoriali e un grande ampliamento dei territori controllati diplomaticamente (Stati clienti). Le truppe erano fondamentalmente mobili e facilmente dislocabili da un punto all’altro. Ma verso la fine della Repubblica l’espansionismo aumentò notevolmente: nella cartina seguente notiamo la grande espansione territoriale nel periodo di Augusto.

2. Dai Flavi ai Severi (68-180 d.C.)
Nel periodo analizzato precedentemente l’elemento caratteristico dell’arte bellica romana era stato l’accampamento mobile. Per costruirlo era necessario molto lavoro, ma così fortificato poteva essere adeguatamente controllato da un numero minimo di sentinelle.

Da Vespasiano in poi assistiamo al tentativo di trasformare tutto l’Impero in un grande accampamento mobile. Il primo passo consisteva nella demarcazione delle frontiere imperiali, e infatti gradualmente la demarcazione dei confini divenne ben visibile sul terreno, e gli Stati clienti vennero annessi.
La linea invisibile di demarcazione del potere imperiale diventò un confine munito di difesa: il limes. Il compito di mantenere la sicurezza territoriale è affidato a truppe di confine distribuite a largo raggio.

Lo sviluppo economico, l’urbanizzazione e l’integrazione politica erano tutti processi che richiedevano una sicurezza regolare e continua, oltre all’isolamento delle popolazioni provinciali da quelle ad esse affini, che vivevano libere e selvagge oltre i confini.
Immagine a lato: la via Appia

Fu un colossale investimento di mezzi nel corso di tre secoli: reti stradali, fortini grandi e piccoli, torri di osservazione e segnalazione. Erano comunque difese per pericoli a bassa intensità, dato che i pericoli gravi venivano affrontati con truppe mobili concentrate e inviate in avanscoperta a intercettare gli attacchi nemici: il combattimento avveniva oltre il confine e non all’interno di esso.

Una volta che la strategia imperiale si trasformò da espansionismo in difesa territoriale, mutarono le qualità richieste dall’esercito romano: ora si richiedeva una capacità difensiva prolungata per tutta la lunghezza di un confine terrestre. Gli accampamenti stavano cedendo il posto a fortezze di pietra, che stavano rapidamente acquistando una tipica atmosfera urbana.
Restando a lungo inattive, in un ambiente ospitale, le truppe perdevano la caratteristica disciplina dei soldati. Essi si formavano ben presto delle famiglie illegittime negli insediamenti che crescevano spontaneamente intorno alle basi legionarie.

3. La grande crisi del III secolo
Sotto Marco Aurelio, nel 166 d.C., avvenne la prima grave penetrazione nemica in territorio imperiale. Furono rafforzate di conseguenza le opere di fortificazione e aumentate le guarnigioni lungo i tratti di confine più vulnerabili. Ma questi forti non erano comunque in grado di resistere ad assalitori risoluti, ma solo a barbari male equipaggiati. Questo tipo di difesa prevedeva l’intercettazione del nemico entro il territorio imperiale: la sicurezza delle province era stata sacrificata a favore di quella dell’Impero nel suo insieme. La grande economia di forze del primo periodo dell’Impero era andata ormai perduta.
Nella cartina seguente: la grande crisi del III secolo. Non fu un’invasione di barbari, come si legge nei libri di testo, bensì una migrazione che divenne incontrollata, e che avvenne nell’arco di un paio di secoli. (Impossibile non vedere un parallelo con la situazione attuale).

Sul Reno e sul Danubio erano presenti pericoli costanti per l’Impero. Non appena si presentò anche a Oriente un pericolo analogo, l’intero sistema “di sbarramento” venne a subire un grave squilibrio. Il 260 fu un anno in cui si manifestarono molti attacchi. Sono anni in cui anche il potere imperiale risulta indebolito, e le lotte tra aspiranti imperatori sottraggono forze preziose dai confini.
Il limes non proteggeva la provincia, ma era la provincia a proteggere il limes. Il nemico poteva penetrare in profondità nel territorio, ma il potere imperiale poteva essere salvato se delle truppe da campo sufficientemente forti potevano riunirsi per sconfiggere l’avversario.

La nascita di forti permanenti richiese la necessità di terreni facilmente difendibili. Qui a lato: fortezza romana ricostruita a Belchin (Bulgaria).
L’architettura si trasforma in modo da facilitare la difesa permanente: oramai siamo di fronte ad una architettura tipicamente medievale.

Nacquero così città fortificate (qui a lato, la città di Palmanova). Vita civile e militare cominciarono a coincidere: le città stavano diventando dei forti, e i forti si stavano trasformando in città abitate da soldati, che al tempo stesso esercitavano il mestiere di artigiani, mercanti o agricoltori.
I soldati erano incaricati della difesa di determinate province, e non esisteva riserva strategica.
Esistevano ancora le legioni ma erano molto diverse da quelle dei tempi di Augusto:
- Erano unità più piccole (circa 1000 uomini)
- Avevano ormai perso la loro leggendaria efficienza
- Erano armati con la spatha, la lunga spada di origine barbara, adatta a un tipo di battaglia indisciplinato e in ordine sparso.
Infatti le truppe che chiamiamo "romane" erano formate per la maggior parte da barbari romanizzati, che combattevano contro altri barbari non romanizzati.
Nell'immagine sotto: un soldato longobardo.

I danni inflitti al territorio, alla vita e alla proprietà dei privati portarono a una svalutazione della struttura imperiale agli occhi dei suoi sudditi.
Nel V secolo molti cittadini preferirono vivere al di fuori dell’Impero, trovando una più gradita patria in mezzo a popolazioni barbare.
Le aquile erano volate via. Cominciava il Medioevo.
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