La falange, macchina da guerra perfetta
- magnarini
- 3 gen 2018
- Tempo di lettura: 2 min
Le guerre persiane (490 - 479 a.C.) rappresentano il primo epico scontro tra Oriente e Occidente. L'immenso esercito persiano fu più volte battuto da eserciti greci, meno numerosi ma più abili e motivati, poichè difendevano la patria.
L’Impero persiano era un colosso con i piedi di argilla: un coacervo di nazioni che non combattevano per la patria, ma solo perché costretti dal Re. A Platea per esempio c’erano 47 contingenti con lingue, usanze militari e armamenti diversi.


La falange: quando la disciplina è tutto
Il passaggio dallo stile di combattimento eroico a quello organizzato della falange oplitica fu determinato dall'evoluzione della panoplia, cioè l'insieme delle armi offensive e difensive.
Tutto l'equipaggiamento utilizzato necessitava, per essere sfruttato a fondo, della disciplina dello schieramento chiuso.

- scudo rotondo, oplon, in legno di quercia rivestito di bronzo a doppia impugnatura
- corsaletto prima in bronzo poi in lino pressato
- pesante elmo corinzio
- schinieri di bronzo
- lunga lancia in frassino (non destinata al lancio)
- spada (arma secondaria).
La piena padronanza di sé sostituisce, nell’oplita, l’ebbrezza della lotta, la vertigine tipica del guerriero arcaico.
Lo scudo copre anche il compagno alla sua sinistra. L’urto è frontale, non ci sono aggiramenti delle ali. Lo schieramento è disposto in genere su 8 file.
Un difetto fisiologico della falange: istintivamente gli opliti tendono a spostarsi verso destra, per addossarsi al compagno che li protegge con lo scudo. Per questo si cercò di rimediare ponendo in questa parte dello schieramento gli uomini migliori, per contrastare la pressione laterale dei loro compagni.
La pesantezza della panoplia rendeva lenti i movimenti degli opliti, perciò gli scontri erano composti da un faticoso avvicinamento seguìto da una breve carica che si concludeva in un urto frontale, dopo il quale gli opliti delle file retrostanti appoggiavano lo scudo sulle schiene dei compagni per spingerli avanti nel tentativo di travolgere lo schieramento nemico.
Il combattimento terminava con il collasso di uno degli schieramenti.
Evoluzione della falange sotto Filippo II di Macedonia
Il padre di Alessandro Magno riformò la falange creando quel perfetto strumento che servirà a suo figlio per la sua straordinaria impresa.
Filippo aumenta la densità tra gli uomini e la profondità delle file, e fornisce ai soldati la sarissa, una picca lunga oltre 5 metri. Ottima arma di offesa, è ideale anche per la difesa, poiché le file indietro la tengono alzata per rendere inefficace l’arrivo delle frecce nemiche, mentre le prime file la tengono avanti per sbarrare la strada al nemico.
Lo scudo diventa più piccolo e leggero (circa 60 cm di diametro) e può essere appeso al collo con una cinghia di cuoio, allo scopo di liberare entrambe le mani per maneggiare meglio la sarissa.

Ma la vera rivoluzione della falange macedone è l’impiego della cavalleria, che aggira lo schieramento nemico, indebolito e scompaginato dal micidiale urto della falange. La falange quindi diventa un’incudine, che spezza l’impeto del nemico, e permette ai cavalieri di sferrare il risolutivo colpo di maglio.
Il limite della falange è il terreno di scontro: è efficace solo in campo aperto. Per questo, quando incontreranno generali abili nella scelta di terreni impervi, Filippo II e Alessandro saranno costretti a introdurre gruppi scelti di soldati armati alla leggera e agili.
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