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La battaglia di Canne capolavoro tattico insuperato

  • Immagine del redattore: magnarini
    magnarini
  • 2 gen 2018
  • Tempo di lettura: 4 min

Un grande classico. Mi scuso in anticipo se molti di voi conoscono già l'argomento, e spero comunque troviate qualche notizia che non conoscevate.

Cartine tratte da www.arsbellica.it

Canne è sulle rive del fiume Ofanto, in Puglia. In altra sede inquadrerò meglio la battaglia dentro gli eventi della Seconda Guerra Punica, qui mi limito a parlare della battaglia dal punto di vista tattico. Essa rimane un capolavoro di Annibale, e ancora oggi viene studiata nelle accademie militari di tutto il mondo.

I consoli romani Publio Terenzio Varrone e Lucio Emilio Paolo erano tra loro in disaccordo su tutto. Inoltre vigeva la regola di un comando dell’esercito a giorni alterni tra i due consoli, per cui l’esercito non disponeva neanche di una leadership chiara.

A tale proposito Napoleone dirà che è meglio un generale mediocre piuttosto che due generali abili.

I consoli disponevano di otto legioni, e contravvennero alla regola di lasciare una parte dell’esercito a difesa di Roma, sicuri com’erano di vincere.

(Nella figura seguente: la struttura della legione romana)




Tra i due consoli comunque regnava l’ottimismo. Attribuivano le sconfitte precedenti a episodi fortuiti: la nebbia sul Trasimeno e il freddo sul Trebbia, non rendendosi conto che tali circostanze erano state volutamente provocate da Annibale.

Anche a Canne Annibale fu abile nella scelta del terreno: la pianura era perfetta per le cariche della cavalleria dei Numidi.

L’esercito di Annibale

Circa 25mila fanti e 10mila cavalieri:

L’esercito romano

Ogni legione era formata da circa 4200 uomini, più 300 cavalieri.

A Canne c’erano 8 legioni romane più 8 legioni di alleati italici (socii). In totale quindi 80mila fanti e 6mila cavalieri.


Annibale collocò il campo dal lato sinistro del fiume per impedire che i Romani potessero penetrare verso il terreno collinoso più a sud, dove la sua cavalleria si sarebbe trovata a disagio, poi mostrò la sua volontà di combattere, ma nella pianura a destra del fiume.

Accettando di combattere sul campo scelto da Annibale, i Romani si trovarono in uno spazio comunque troppo stretto per schierare tutte le loro forze. I manipoli romani erano più fitti del solito e molto più profondi che larghi. In questo modo qualsiasi movimento era impedito.

Ai fianchi si schierarono i due contingenti della cavalleria: alla destra, dalla parte del fiume, la cavalleria romana (2400), alla sinistra quella degli alleati italici (3600).




Per Annibale, viceversa, il campo era tutt’altro che limitato: ai fianchi degli schieramenti di fanteria si aprivano due ampi e comodi corridoi, nei quali la sua cavalleria avrebbe potuto manovrare agilmente.

Inoltre giocavano a suo vantaggio: il pendio leggero, che avrebbe agevolato le cariche della sua cavalleria; il vento, che soffiava dalle spalle del suo schieramento buttando polvere negli occhi dei Romani.

Annibale divise i veterani libici in due unità ordinate in ranghi assai più profondi del consueto e li schierò agli estremi del suo centro ma in posizione alquanto arretrata.

Dispose poi il resto delle fanterie pesanti, formato dai mercenari galli e dagli iberici, a formare un arco, con la parte convessa verso il nemico, assottigliando progressivamente i ranghi verso le estremità dello schieramento, dove, con il convergere dei nemici verso il centro, l’urto sarà meno violento e diretto.


La battaglia di Canne si aprì con una serie di schermaglie della cavalleria.



La cavalleria pesante di Annibale a Canne compì un'azione non comune nella storia militare: fece ben tre cariche nell’arco della battaglia, dimostrando di essere sotto controllo e capace di dosare le proprie forze. L’ala sinistra caricò la cavalleria romana che, stretta com'era tra il fiume e la fanteria che stava avanzando, cedette dandosi alla fuga.


Invece di mettersi all'inseguimento dei fuggitivi, tale cavalleria si raccolse e, muovendo sul retro della fanteria romana che stava attaccando il centro avanzato dello schieramento cartaginese, con una seconda carica piombò addosso agli Italici ancora impegnati contro i Numidi.

Nel frattempo il centro punico aveva già cominciato a indietreggiare lentamente, incalzato dalle pesanti colonne romane, sempre più compresse al centro a causa del progressivo convergere dei legionari all’istintiva ricerca di un contatto con il nemico.


Con il ripiegare lento e continuo di galli e iberici, lo schieramento passò dall’arco convesso iniziale ad un arco concavo. Questa è l'idea vincente che condiziona l'esito della battaglia. La fanteria romana si era spinta troppo avanti e, senza la protezione della cavalleria ormai in fuga, si trovò ai lati i veterani africani che chiusero la morsa, con perfetto sincronismo.

La cavalleria pesante cartaginese, che aveva avuto la meglio sui cavalieri italici, assestò il colpo mortale ai Romani caricandoli alle spalle. I Numidi, intanto, si gettarono all'inseguimento dei nemici in fuga. La fanteria romana era ormai circondata, costretta a combattere in spazi sempre più ridotti: cominciò il massacro.


Le perdite

Nonostante la superiorità numerica, a Canne le legioni romane furono letteralmente fatte a pezzi. La battaglia di Canne fu la peggiore disfatta della storia di Roma: essa lasciò sul campo 47.500 fanti e 2.700 cavalieri, mentre 19.000 furono i prigionieri. Solo 15.000 uomini si salvarono, tra cui il console Terenzio Varrone, responsabile del disastroso piano di battaglia.

Annibale a Canne perse 6.000 Galli, 1.500 Spagnoli e Africani e 200 cavalieri: aveva ottenuto la più brillante vittoria della sua carriera di generale e si consacrava uno dei più grandi condottieri della storia.

A Canne l’immaginazione sconfisse la disciplina. Ma a Canne Annibale perse anche il segreto delle sue vittorie: d’ora in avanti i generali romani impareranno dal condottiero cartaginese e non ripeteranno più gli stessi errori.


 
 
 

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