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Il brigantaggio: come nasce una guerra civile

  • Immagine del redattore: magnarini
    magnarini
  • 8 gen 2018
  • Tempo di lettura: 4 min

Quando si parla di guerra civile in Italia, tutti pensiamo istintivamente agli anni 1943-1945, cioè alla tragedia del dopo 8 settembre. Ma c’è stata una guerra civile precedente, passata sotto silenzio.

L’Italia aveva appena raggiunto la sua unità, cercata per tanti secoli, e subito si manifestò il fenomeno del brigantaggio.

Il brigantaggio non fu banditismo a scopo di rapina ed estorsione, o meglio non fu solo questo. Esso aveva radici profonde: un problema sociale che si preferì ignorare.

All’indomani dell’Unità, il governo centrale si trovò a gestire un insieme di ex Stati profondamente diversi tra di loro. Solo pochi politici capirono che in una società così variegata il federalismo sarebbe stata la soluzione migliore, ma essi non furono ascoltati, e si preferì la strada dell’accentramento. Il codice piemontese fu esportato in tutto il resto del neonato Regno d’Italia.

Il sud, appena liberato dalla monarchia borbonica, presentata gravi problemi di disuguaglianze sociali, visibili purtroppo ancora oggi.

Garibaldi aveva promesso (in buona fede) ai contadini del sud una più equa distribuzione delle terre e condizioni di vita migliori; questi motivi, e non il patriottismo, portarono i cittadini del sud a sposare la causa dei “piemontesi”. Non tutti però, dato che secondo un diffuso costume che vige ancora oggi, la maggior parte della popolazione rimase alla finestra, senza prendere posizione, in attesa degli eventi.

Il governo piemontese depredò le casse dei Borboni e si accordò con i baroni latifondisti del sud: sembrò il modo migliore e più semplice per garantire la governabilità. Il risultato fu una plebe meridionale che vide deluse le sue speranze, e peggiorate le proprie condizioni di vita.


Il brigantaggio nacque da questa situazione: darsi alla macchia, riunirsi in bande, per molti era l’unico modo di sfuggire alla fame. I briganti trovarono spesso il sostegno della popolazione, e l’appoggio (più teorico che pratico) degli spodestati Borbone, che videro la possibilità di recuperare il loro Regno.

Quanto detto finora è abbastanza noto, e insegnato nei libri di testo. La parte che descriverò ora invece è molto meno conosciuta.

Il governo, dopo i primi insuccessi, instaurò lo stato d’assedio e si accinse ad intraprendere una vera e propria guerra civile. Assistiamo così in questi anni allo sterminio di interi paesi, per il solo sospetto di dare riparo a briganti; stupri, deportazioni, torture, insomma tutte le atrocità che accompagnano le guerre civili, qualunque sia il periodo storico.

I soldati piemontesi mandati a combattere questa guerra furono anche loro vittime innocenti: quando cadono nelle imboscate delle bande, anche a loro sono riservate tremende atrocità.


Come nasce una guerra civile

Altro che banditi incivili, incolti, reazionari e codini: i briganti che s'opposero alle truppe savoiarde erano ribelli, contadini esasperati dall'avidità e dallo sfruttamento dei latifondisti, cittadini delusi da un Risorgimento che stava tradendo i suoi propositi e ribaltarsi in propaganda. E quella che venne combattuta tra 1861 e 1870 fu la prima guerra civile italiana. Tali vicende determinarono incomprensioni, ostilità e inimicizie tra le due metà della nazione.


La repressione del "brigantaggio" fu una guerra civile, insabbiata nei libri di scuola: «non un cenno alla grande alleanza politica tra le classi dominanti del Nord e i latifondisti del Sud, a tutto danno delle classi subalterne» (Angelo Del Boca, Italiani, brava gente?). I briganti andrebbero insomma chiamati con un altro nome nei libri di storia: "ribelli".

A raccontare i fatti, come sempre, è stato il vincitore. Un vincitore che ha imposto la damnatio memoriae sui vinti, riducendo i suoi massacri alla stregua di semplici operazioni di polizia. L'Unità d'Italia per come purtroppo si realizzò non seppe integrare tradizioni, culture e lingue diverse: l'educazione all'italianità dei meridionali è passata per una contrapposizione rancorosa. "Noi", portatori di giustizia civiltà e legalità, contro "loro", i briganti.


Chi era, allora, il "brigante"? Tante erano le anime dei briganti. Erano ex combattenti, erano lavoratori esausti, erano cittadini che rifiutavano gli anni imposti dalla leva militare obbligatoria di stampo giacobino del nuovo Stato, e c'erano - va detto - anche nostalgici borbonici. Erano a volte disertori, a volte delinquenti, a volte romantici.

Non mancavano le donne: si trattava di «antesignane di un femminismo istintivo e rabbioso, ribelli stanche di essere confinate, da sempre, al letto, al focolare e ai figli. Un esercito di nomi e di storie senza volto, un'escrescenza della storia, per decenni considerata ingiustamente marginale» (Giordano Bruno Guerri, Il sangue del Sud. Antistoria del Risorgimento e del brigantaggio).


Quanti erano i briganti? Erano parecchi. Guerri riferisce che nel 1861 agivano, dall'Abruzzo in giù, 216 bande. Secondo Del Boca, si trattò di 80mila gregari divisi in circa 400 bande.

Questa guerra venne combattuta con una legge, la Legge Pica dell'agosto 1863, con cui il governo italiano «impose lo stato d'assedio, annullò le garanzie costituzionali, trasferì il potere ai tribunali militari, adottò la norma della fucilazione e dei lavori forzati, organizzò squadre di volontari che agivano senza controllo, chiuse gli occhi su arbitrii, abusi, crimini, massacri». Caddero, secondo le cifre che Guerri considera più attendibili, addirittura attorno alle 100mila persone tra i meridionali, complici i caduti per stenti, prigionia, disperazione, suicidio. Morale della favola? «Oggi, non si può più tacere che quella conquista comportò episodi da sterminio di massa». Non mancarono episodi di violenza cieca e gratuita per mano sabauda, come i massacri di Pontelandolfo e Casalduni, completi di saccheggio e stupri: nascevano per rappresaglia, costituirono un focolaio d'odio. E in entrambi i casi non ci fu nessun processo. E qualcuno voleva non ci fosse nemmeno memoria.


La base dell'economia meridionale restava l'agricoltura, fondata ancora sul latifondo, ma i piemontesi non seppero - o non vollero - risolvere il nodo della questione agraria, determinando così una delle principali cause del brigantaggio: lo scontento abnorme dei contadini. Che sognavano, naturalmente, una equa redistribuzione dei grandi possedimenti terrieri.

Tutti si ricordano la frase di d'Azeglio: «Si è fatta l'Italia, ma non si fanno gli italiani». L'errore di piemontesizzare il Sud ha determinato un secolo e mezzo di incomprensioni, risentimenti, invidie, vittimismi e gelosie. Probabilmente, peraltro, ha originato un'ondata di emigrazione di straordinaria intensità, prima verso altri continenti, poi verso il settentrione. Laddove c'è qualcuno che sembra trattarli come creature antropologicamente differenti: e non da ieri, ma da sempre, ovvero da quando chiamava "brigantaggio" la loro ribellione.


Per approfondire

Giordano Bruno Guerri, Il sangue del Sud. Antistoria del Risorgimento e del brigantaggio


Per il ruolo delle donne nel brigantaggio:

Giordano Bruno Guerri, Il bosco nel cuore


Per il massacro di Pontelandolfo e Casalduni: https://it.wikipedia.org/wiki/Massacro_di_Pontelandolfo_e_Casalduni


Alcune parti di questo articolo sono tratte da una recensione di Gianfranco Franchi: https://www.ariannaeditrice.it/articolo.php?id_articolo=35324


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