Gino Girolimoni, un errore giudiziario ai tempi del fascismo
- magnarini
- 1 lug 2018
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Un serial killer. Un assassino di bambine che terrorizza la Roma del Ventennio fascista. E un clamoroso errore giudiziario

La sera dell’8 maggio 1927 fu una gran bella serata per Benito Mussolini: era appena stato informato che “il mostro di Roma”, l’assassino di bambine che da 3 anni terrorizzava la capitale, era stato finalmente arrestato.
L’indomani tutti i giornali strillavano la loro soddisfazione e la loro gratitudine al Duce. Ma quell’arresto non fu la fine dell’incubo, ma l’inizio di uno dei più clamorosi errori giudiziari della storia d’Italia, di cui rimase vittima un incolpevole mediatore di affari, Gino Girolimoni.
Tutto cominciò a Roma il 31 marzo 1924, quando dai giardinetti di piazza Cavour fu rapita Emma Giacobini, di 7 anni. Fu ritrovata poco dopo, sconvolta e piangente; qualcuno l’aveva violentata e cercato di strangolarla. Le indagini della polizia non portarono a nulla.
Due mesi dopo, il 5 giugno, il cadavere di una bambina di 3 anni, Bianca Carlieri, venne ritrovato nei pressi della basilica di San Paolo. La piccola era stata violentata e questa volta l’assalitore era riuscito anche a strangolarla. Il caso esplose su tutti i giornali e sollevò un’ondata di indignazione in tutto il Paese.
Fu un omicidio provvidenziale per il fascismo, perché fece passare in secondo piano il dibattito parlamentare, con la denuncia che fece coraggiosamente Giacomo Matteotti: le elezioni di aprile si erano svolte in un clima di illegalità e intimidazione. Matteotti pagò con la vita il suo coraggio.

Ma intanto il mostro tornò a colpire: il 25 novembre (sempre del 1924), in località Balduina, allora aperta campagna, fu trovata Rosina Pelli, di 2 anni, orribilmente seviziata e uccisa. Le indagini non portarono a nulla nemmeno stavolta, e i giornali se la presero con le forze dell’ordine e con il regime.
Fu l’ultima volta che i giornali poterono criticare l’operato del regime. Il 3 gennaio del 1925 Mussolini instaurò la dittatura. Ai giornali fu subito vietato di dare spazio alla cronaca nera, poiché il fascismo doveva essere sinonimo di ordine e legalità.
Il 30 maggio di quel 1925 Elisa Berni, di 4 anni, fu ritrovata su greto del Tevere, a due passi dal Vaticano, ma sui giornali non comparve quasi nulla.
Il mostro colpì l’ultima volta il 12 marzo del 1927: la vittima fu Amanda Leonardi di 5 anni.

Anche con il bavaglio ai giornali, le notizie trapelavano e Mussolini usciva screditato da questi omicidi impuniti. Perciò servivano risultati immediati.
Fu solo quando il padrone di una locanda e i suoi tre dipendenti dissero di aver visto un uomo insieme ad Amanda Leonardi nel loro locale la sera del delitto, che si pensò di aver trovato finalmente la pista giusta. Si fece poi avanti un ingegnere, che aveva notato che un suo vicino, Gino Girolimoni, sembrava avvicinare con fare misterioso la sua domestica, Olga, di 12 anni. L’uomo fu messo sotto sorveglianza e la prima volta che tentò di parlare con Olga fu ammanettato e portato direttamente in galera.
Girolimoni era un procacciatore di affari legali, guadagnava abbastanza bene, viveva da solo e girava con una Peugeot verde. Tutti lo conoscevano nel quartiere come imbattibile donnaiolo. In carcere Girolimoni si proclamò innocente. Gli indizi contro di lui erano molto vaghi, ma dopo il suo arresto i delitti si fermarono e questo sembrò bastare. Sui giornali si chiedeva a gran voce la fucilazione del mostro.

Girolimoni si dibattè nella morsa delle false accuse per 11 mesi e fu solo grazie all’impegno e alla serietà di un magistrato, Rosario Marciano, che la sua situazione si ribaltò.
Prima infatti si scoprì che l’uomo visto nella locanda era un operaio veneto, entrato con la figlia a bere un bicchiere di vino; poi si venne a sapere che l’ingegnere che aveva denunciato Girolimoni lo aveva fatto per vendetta: non era alla serva dodicenne che il giovanotto prestava le sue attenzioni, ma alla moglie dell’ingegnere. Alla fine si dimostrò addirittura che il giorno dell’ultimo delitto Girolimoni era fuori Roma.
L’8 marzo 1928 Girolimoni fu assolto con formula piena, ma la notizia passò invisibile sui giornali.

Quanto al vero colpevole, il commissario Giuseppe Dosi si convinse che fosse il reverendo canadese Ralph Lionel Brydges, pastore della Chiesa anglicana a Roma, poiché era stato sorpreso a Capri mentre molestava una bambina; sulla base di una serie di labili indizi fu arrestato, ma poi giudicato affetto da demenza senile e rilasciato.
Il vero mostro rimase ignoto.
Quanto al povero Girolimoni, passata inosservata la sua assoluzione, trascorse il resto della vita come un miserabile. Con quel nome, divenuto sinonimo di depravazione, nessuno voleva più avere nulla a che fare. Inspiegabilmente la sua domanda di cambiare cognome fu respinta, né gli fu mai concesso alcun indennizzo.

Ancora alla caduta del fascismo, nel 1945, qualcuno si ricordava di lui. Quando il 29 aprile i corpi di Mussolini, della sua compagna Claretta Petacci e di alcuni gerarchi fascisti furono appesi a testa in giù a piazzale Loreto, a Milano, ce n’era uno che nessuno seppe riconoscere. Per non lasciarlo innominato, qualcuno scrisse, accanto al gancio dal quale pendeva, un nome che ancora faceva paura: “Girolimoni”.
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