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Blitzkrieg: il segreto della guerra-lampo

  • Immagine del redattore: magnarini
    magnarini
  • 4 gen 2018
  • Tempo di lettura: 4 min

La blitzkrieg (guerra-lampo) è il nome che indica la straordinaria avanzata delle truppe di Hitler, all'inizio della Seconda Guerra Mondiale, con le conquiste fulminee di Polonia e Francia. Ma cosa rendeva questa tattica così vincente? Il brano seguente è tratto da “Diario della Seconda Guerra Mondiale”, ed. De Agostini.


Il 22 giugno 1940 il conflitto in Europa sembrava finito: Hitler controllava tutta l'Europa centrale e parte della Scandinavia; Russia, Italia, Ungheria e Romania erano sue alleate; Svezia e Spagna neutrali. In dieci mesi tutta l'Europa continentale era caduta dunque sotto il controllo diretto o indiretto della Germania; solo l'Inghilterra rimaneva libera e indipendente, anche se con forze drasticamente ridotte dal disastro del corpo di spedizione sul continente. Questo è il quadro che si presentava a metà del 1940: l'esercito tedesco appariva invincibile, le vittorie e le conquiste oscuravano per dimensioni e brillantezza quelle napoleoniche, nessuno sembrava in grado di opporsi.


Soprattutto, un osservatore non avrebbe potuto non notare che esisteva una differenza abissale fra i due eserciti: quelli alleati erano passati di sconfitta in sconfitta e avevano sempre e comunque dimostrato di agire in ritardo, lentamente, con confusione di idee e imprecisione di piani. Dall'altra parte l'esercito tedesco sembrava una macchina perfetta e inarrestabile. Ne nacque il falso mito della superiorità dei mezzi tedeschi, che tornava comodo per oscurare le responsabilità delle disastrose sconfitte sul campo di battaglia.


Se la differenza non risiedeva nei mezzi, come potevano essere giustificate le strabilianti vittorie? Senz’altro con una differenza di morale: decisi e convinti i tedeschi, riluttanti e dubbiosi gli alleati. Senz'altro con una differenza di addestramento. Ma la vera differenza, quella decisiva, ancora una volta si manifestò nella concezione stessa della guerra. Per comprenderla bisogna tornare con la mente alla prima guerra mondiale: allora la guerra si era risolta in una serie di attacchi e contrattacchi fra due linee di trincee contrapposte. Battaglie nel vero senso della parola non se ne erano verificate: c'era stato solo un lungo e continuo logorio, uno stillicidio continuo e impressionante di morti. I comandi della Grande Guerra ebbero un ruolo piuttosto limitato: dovevano mantenere le linee, concentrare le forze per tentare i grandi attacchi, decidere le preparazioni d'artiglieria e, tutt'al più, cercare di motivare le truppe a continuare la guerra. Per fare questo non c'era bisogno di grande spirito d'iniziativa, quanto piuttosto di una ragionieresca contabilità delle forze a disposizione. Di conseguenza gli eserciti di quella guerra erano organizzati in grandi unità con strutture di comando molto rigide; l unica strategia che veniva applicata era in fondo quella di riversare una tempesta di fuoco sulle linee nemiche e poi mandare più soldati possibile all'assalto.


Gli eserciti alleati della seconda guerra mondiale per molti aspetti ricalcavano quel modello: grandi unità in cui il comandante prendeva tutte le decisioni, che i sottoposti dovevano limitarsi ad eseguire. I tedeschi, che sin dall'inizio avevano impostato il loro esercito e il loro addestramento sulla guerra di movimento, avevano invece una struttura di comando molto più elastica, in cui anche i quadri intermedi potevano - e dovevano - prendere iniziative e decisioni: grazie a questa caratteristica poterono applicare e sfruttare appieno la dottrina del Blitzkrieg (la guerra lampo). Questa fu la grande, abissale differenza fra i due eserciti: l'attacco tedesco alla fortezza di Eben-Emael, uno dei momenti decisivi dell'assalto ai Paesi Bassi, venne condotto da un sergente poiché i gradi superiori si erano dispersi prima dell'attacco. I maggiori e i colonnelli inglesi e francesi invece si fermavano se non ricevevano ordini dall'alto. Con questa elasticità di comando i tedeschi poterono compiere imprese che non erano ritenute possibili dagli alleati, solo perché loro non erano in grado di realizzarle: poterono, ad esempio, lanciare attacchi inaspettati dietro le linee francesi lasciando che i singoli comandanti interpretassero la situazione e prendessero le decisioni sul posto, immediatamente. Se i comandanti delle colonne corazzate tedesche si fossero fermati dopo ogni sfondamento ad aspettare di essere raggiunti dal grosso delle truppe e di ricevere gli ordini dei comandi superiori, con tutta probabilità gli alleati sarebbero riusciti a ricucire gli strappi e la guerra di Francia si sarebbe risolta in una lunga guerra di logoramento, come nel conflitto precedente.


Il segreto dei successi tedeschi fu che riuscivano a muoversi più veloci di quanto viaggiassero gli ordini dei nemici: per far questo fecero pesare completamente il miglior addestramento dei loro quadri intermedi. Se un soldato tedesco valeva tanto quanto uno francese o uno inglese, se un generale tedesco solo in alcuni casi si dimostrò più preparato dei suoi corrispettivi alleati, allora la vera differenza fu segnata dai quadri intermedi dal sergente al colonnello. E questa superiorità durò per tutta la guerra e fu proprio grazie a questo che, negli ultimi anni del conflitto, quando ormai i nazisti erano sopravanzati sotto ogni profilo, le loro truppe riuscirono ancora a tenere testa ai nemici.


Per chi ama i paradossi, si può affermare che l'esercito del più dittatoriale dei paesi risultò avere una struttura più democratica di quelli dei paesi democratici.

Con acume il grande storico francese Marc Bloch - che finì fucilato dai tedeschi e quindi non può essere accusato di simpatie filonaziste - così commentò la disfatta del suo paese: “Il trionfo dei tedeschi è stata essenzialmente una vittoria intellettuale, ed è stata questa forse la cosa più grave”.

 
 
 

1 Comment


Silvia Rigoli
Silvia Rigoli
Jan 04, 2018

Di un'incredibile quanto intensa crudezza..

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