Angelo Formìggini, una vittima delle leggi razziali
- magnarini
- 10 mar 2018
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Le leggi razziali approvate dal fascismo rappresentano una pagina nera della nostra storia unitaria. Il nome di Angelo Formìggini è praticamente sconosciuto alla maggior parte degli italiani, anche se fu un pioniere nel campo dell'editoria. Solo per una grave ingiustizia il nome di Treccani è più celebre del suo. Vi racconto la sua storia.

Angelo Fortunato Formìggini nacque a Collegara, frazione di Modena, quinto e ultimo figlio di una famiglia ebraica con antenati originari di Formìgine, da cui presero il cognome, un tempo gioiellieri degli Estensi e poi finanzieri.
Frequentò il Liceo Galvani di Bologna ma ne venne espulso nel 1896 per aver scritto un poemetto nel quale, sulle orme di Dante, satireggiava professori e compagni di scuola.
Concluse così gli studi nel Liceo Muratori di Modena e si iscrisse nella Facoltà di Giurisprudenza, laureandosi con lode nel 1901. Nel 1908 conseguì a Bologna una seconda laurea in filosofia morale.
L'attività editoriale
L'attività editoriale ebbe inizio il 31 maggio 1908.
Nel 1909 la Casa editrice Formìggini lanciò il primo numero della collana «Profili» con una monografia su Sandro Botticelli: ne seguiranno altri 128, fino al Chiabrera del 1938.
Il favore riscosso dalle pubblicazioni lo convinse ad aumentare dimensioni dell'azienda e numero di iniziative: trasferito a Genova, nel 1912 creò «I Classici del ridere», che fu, secondo la sua definizione, «er mejo fico der mio bigonzo», la collezione di maggior successo.
Interventista, partì ufficiale volontario per il fronte di guerra nel 1915 ma fu presto congedato. Nel 1916 trasferì nuovamente a Roma la Casa editrice, nei pressi di piazza Venezia: qui, nel 1918, ebbe un'iniziativa particolarmente moderna e originale, per il tempo, quella di segnalare le novità librarie e di tracciare profili di scrittori, fondando la «ICS», ossia «L'Italia che scrive», un periodico mensile d'informazione libraria che, nei suoi intenti, doveva occuparsi di «tutte le principali questioni inerenti alla vita del libro italiano in quanto esse sono essenziali alla vita spirituale della nazione».

Contemporaneamente, costituì una biblioteca dell'umorismo, battezzata la «Casa del Ridere», raccogliendo qualunque materiale fosse attinente, dai libri alle riviste, alle stampe, ai quadri.
Il progetto della Grande Enciclopedia
Nel 1921 Formìggini creò l'IPCI, Istituto per la Propaganda della Cultura Italiana, società della quale egli fu eletto amministratore dal consiglio direttivo formato da eminenti uomini di cultura. Il Governo eresse l'IPCI, con il Regio Decreto del 21 novembre 1921, a Ente Morale e successivamente rinominato Fondazione Leonardo per la Cultura Italiana su proposta di Giovanni Gentile, ministro della Pubblica Istruzione del Governo Mussolini. Il presidente del Consiglio della Fondazione, Ferdinando Martini, appoggiò il progetto di Formìggini di dar vita a una Grande Enciclopedia Italica in 18 volumi, che avrebbe rappresentato, per l'Italia d'allora, una realizzazione culturale di primo livello.
Il ministro Giovanni Gentile non intese però consentire tale progetto.
Essendo l'«Italia che scrive» la pubblicazione ufficiale della Fondazione, Gentile pretese che il Consiglio direttivo controllasse direttamente il periodico: accusato l'editore di irregolarità amministrative, lo costrinse, con tutto il Consiglio, a dare le dimissioni nel febbraio del 1923 finché, nel 1925, la Fondazione fu assorbita, con tutto il suo patrimonio, dall'Istituto Nazionale Fascista di Cultura, presieduto dallo stesso Gentile. Formìggini dovette così rinunciare al suo progetto che invece, com'è noto, sarà realizzato da Giovanni Treccani, con la pubblicazione dell'Enciclopedia italiana di scienze, lettere ed arti.
Formìggini continuò a produrre nuove collane, tutte innovative e portatrici di un nuovo slancio culturale.

Il suicidio
Quando il regime, nel 1938, cominciò a preparare l'opinione pubblica in vista delle leggi razziali, anche Formìggini fu costretto a ricordare quel che sembrava aver dimenticato: di essere ebreo, lui, distante dal sionismo ed estraneo a ogni particolarismo religioso e culturale.
Espropriato della sua Casa Editrice, si preparò al suicidio, a cui pensava da mesi. Tornò a Modena, come a chiudere formalmente e simbolicamente il ciclo della propria vita e, la mattina del 29 novembre 1938 si gettò dalla Ghirlandina, la torre del Duomo, precipitando su un breve spazio di selciato che lui stesso, in una delle ultime lettere, aveva ironicamente chiesto di chiamare, in suo ricordo, al tvajol ed Furmajin, il tovagliolo del Formaggino, in dialetto modenese: una lapide così intitolata oggi lo ricorda.
In una lettera all'editore Giulio Calabi, ricevuta solo a decesso avvenuto, Formiggini precisava che si sarebbe gettato con in tasca una missiva per il Re ed una per Mussolini, e con le tasche piene di soldi perché i fascisti non potessero dire che si fosse ucciso per motivi economici.
Ma ai giornali fu imposto il silenzio. L'unico commento di regime che ci è conservato è la battuta del segretario del Partito fascista, Achille Starace: «È morto proprio come un ebreo: si è buttato da una torre per risparmiare un colpo di pistola».
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